Agenda

Rassegna di incontri “SCONFINI. LUOGHI E TERRITORI DELLA DIVERSITA’” – “L’Angolo Prediletto: il mostro e la meraviglia”

Il Consiglio dell'Ordine degli Architetti P.P. C. di Reggio Calabria, nell’ambito della propria offerta formativa,  propone, all’interno della rassegna di incontri dal titolo SCONFINI. LUOGHI E TERRITORI DELLA DIVERSITA’ l’incontro “L’Angolo Prediletto: il mostro e la meraviglia” con gli autori Annalisa Metta  per la presentazione del libro “Il Paesaggio è un Mostro: città selvatiche e nature ibride” e Luca Molinari per la presentazione del libro “La Meraviglia è di tutti: Corpi, Città, Architetture

CALENDARIO:
29 giugno 2023 - ore 18,00
    
DOVE: Piazza San Rocco –  Scilla (RC)
 
ARGOMENTO:
La rassegna si presenta come contenitore aperto al dialogo, alla contaminazione ed alla divulgazione di eventi dell’attività ordinistica all’esterno di luoghi consueti.
Nel suo insieme si propone di attivare forme di relazione con temi di interesse, integrando gli aspetti del dialogo su questioni collettive di landscape, di social housing e civic city con le comunità territoriali all’interno di istituti e, con accordi, di autonomia privata.
Il programma prevede di inserire, in un sistema articolato, un responsabile contributo su attività di coesione in spazi intermodali sulla diversità dei temi di coesistenza e divulgazione sula base di esperienze e contenuti.
 
CONTRIBUTO: La partecipazione all’incontro  è gratuita
 
CREDITI FORMATIVI:
per la partecipazione all’ evento saranno riconosciuti n. 3 (tre) crediti formativi professionali, ai sensi dell'art. 7 del DPR n. 137/2012 e dei punti 5.2 delle Linee guida e di coordinamento attuative del Regolamento per l'aggiornamento e sviluppo professionale continuo.





ANNALISA METTA

Architetto paesaggista, laureata all'Università Roma Tre (2002), dottore di ricerca in Architettura dei Parchi, Giardini e Assetto del Territorio presso le università Mediterranea di Reggio Calabria e Federico II di Napoli, è professore associato in Architettura del Paesaggio (ICAR 15) presso il Dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre.
È membro eletto della Commissione Didattica, istituita presso il Dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre, in carica per il triennio dicembre 2019-dicembre 2022, e responsabile dell'Alta Qualità in seno alla Commissione Didattica.
Nel 2016-2017 è vincitrice dell’Italian Fellowship Grant for Research presso l’America Academy in Rome, per la quale attualmente svolge attività di Advisor in Landscape Architecture.
Dal 2018 è membro del Consiglio Direttivo della Società Scientifica Italiana di Architettura del Paesaggio - IASLA e membro del Comitato Scientifico dell'Istituto Nazionale di Architettura - INARCH.
Nel 2007 è tra i partner e fondatori dello studio di progettazione Osa architettura e paesaggio, in Roma, con cui ha firmato numerosi progetti premiati e pubblicati, tra cui la cura e l’allestimento della sezione 'Bosco Italia' del Padiglione Italia alla 13a Edizione della Biennale di Architettura di Venezia, 2012.
Nel 2018 vince il concorso a inviti per il nuovo parco di Poste Italiane sul fiume Tevere, a Roma, di cui è in corso di elaborazione la progettazione definitiva ed esecutiva.
Nel 2019 è tra i progettisti vincitori del secondo premio del concorso internazionale di progettazione in due fasi per il Parco del Ponte, Genova. La bibliografia sul suo lavoro di progettista comprende diversi numeri della rivista Paisea, tra cui il monografico dedicato all’Italia (2011), e delle riviste Abitare, Area, Domus, Lotus.
Il suo lavoro è stato selezionato dalla Landscape Architecture Europe Foundation per due delle quattro edizioni dell’annuario pubblicato ogni tre anni per conto della sezione europea dell’International Federation of Landscape Architecture (IFLA) per fotografare lo stato dell’arte dell’architettura del paesaggio contemporanea in Europa, nei volumi On Site (Birkhauser, 2009) e On the Move (Blauwdruk, 2015).
I temi privilegiati della sua ricerca progettuale sono congruenti con quelli su cui opera come ricercatrice e didatta, con particolare insistenza sulla transcalarità e sui legami tra progetto dello spazio pubblico e matrici territoriali; processualità, evoluzioni nel tempo e forme performative del paesaggio; paesaggi effimeri.
I temi privilegiati della sua ricerca sono: l’architettura del paesaggio come presupposto e metodo per il progetto della città; Il progetto dello spazio aperto per la residenza collettiva; il progetto dello spazio pubblico e l’architettura dei comportamenti; nature urbane e paesaggi effimeri; l’architettura del paesaggio del Novecento in Occidente. La sua attività didattica si concentra su tre temi fortemente intrecciati con la Ricerca: transcalarità e matrici territoriali; i fondamenti della disciplina; progettazione e autocostruzione di paesaggi effimeri. È autrice di numerose pubblicazioni.

Il paesaggio è un mostro. Città selvatiche e nature ibride:

In tutti gli immaginari mitologici, fiabeschi o fantascientifici, i mostri sono l'incontro «sovrannaturale» o «contronatura» tra l'umano e il selvatico e sono perciò controversi, paradossali, irriducibili all'unità, alla coerenza, alla semplificazione. Creature divinatorie, i mostri sono fatti di futuro, sono avvertimenti. Anomalie non prevedibili né uniformabili, appaiono perciò disfunzionali. Eppure sono potentissimi, capaci di scardinare l'assuefazione analgesica alla nostalgia e l'ossessione prestazionale per l'efficienza. Il paesaggio è un mostro quando sa infrangere le partizioni e le tassonomie del controllo, superare l'alterità tra urbano e naturale, sovvertire l'isomorfismo dell'habitat umano, sospenderne le sedazioni etiche ed estetiche e turbare con visioni laicamente prodigiose, oltre le religioni dell'ecologia, del «verde» e della naturazione consensuale.

(https://www.unilibro.it/libro/metta-annalisa/paesaggio-e-mostro-citta-selvatiche-nature-ibride/9788865484128)


Nell’immaginario consueto, un mostro è cosa terribile e spaventosa. È un’aberrazione, fisica o morale, deformità o devianza, suscita orrore e repulsione. Viceversa, secondo lo stesso immaginario, il paesaggio è tipicamente incantevole, piace e rasserena, ha a che fare con l’arte, la bellezza, la natura, oltre ad avere valore patrimoniale, va tutelato e conservato.
Sostenere che il paesaggio sia un mostro ha allora il tenore di un paradosso.
Al più, nell’ambito del medesimo immaginario, l’associazione tra i due termini può aver senso per i casi in cui la santità del paesaggio, notoriamente buono, bello e giusto, sia profanata da qualche infausta azione umana: ecomostro si usa chiamare, per l’appunto, una costruzione che produca un grave danno ambientale o estetico. Probabilmente l’espressione è stata usata per la prima volta in Italia nel 1968, riferita all’hotel Fuenti, a Vietri sul Mare. Sono gli anni in cui la «Commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose di interesse storico, archeologico, artistico, ambientale, archivistico, librario», presieduta da Francesco Franceschini, realizza un reportage fotografico, a oggi insuperato per capillarità e ambizione, con l’intento di procurare allarme per l’assedio cui una modernità disattenta, quando non deliberatamente aggressiva, sottopone le «belle contrade».
Può suonare cinico, ma la mia impressione è che, proprio malgrado, quelle immagini portano indizi di una vitalità disarmante, eludendo l’induzione all’indignazione da oltraggio cui erano deputate, poiché quei «contro-paesaggi», quei «mostri» dell’Italia di fine anni Sessanta, pur essendo stonati, disordinati, contraddittori, stridenti, sbagliati, spesso brutti, sono nondimeno fertili, promettenti, vitali, ben più vitali di molti altri luoghi di cui si suole sostenere la necessità della salvaguardia e che invece talvolta mostrano gli effetti irreversibili di un terrificante e irreversibile rigor mortis.
La ragione di questa vitalità è la loro natura ambigua, ibrida, controversa, caratteri che a distanza di molti anni e con intenti diversi emergono nelle fotografie della serie Poisoned Landscape di Wout Berger (1992) o dell’ancora più recente Anthropocene di Edward Burtynsky (2018), capaci di mettere in discussione le convinzioni più ferree sui nessi di causalità tra bellezza e giustizia e di frantumare la fermezza della nostra ostinata volontà di distinguere artificiale e naturale.
Questi paesaggi pongono domande irrituali e scabrose e sfacciatamente insidiano gli automatismi con cui siamo soliti incasellare, ognuna al proprio posto, le nostre idee di ecologia, politica, arte, bellezza, natura, economia, salvaguardia, sviluppo, degrado, alterazione, sostenibilità, osando chiederci verso quale paesaggio siamo protesi, desideranti, al di là di ogni analgesia prodotta dal ripetersi stanco ma rassicurante di repertori di antiquariato, quando si tratti di traghettare nel presente i paesaggi ereditati, e dall’applicazione meccanica e sedativa di protocolli prestazionali per l’efficientamento ambientale, quando si tratti di figurarsi i paesaggi ancora da venire.
Points …: Interviews, 1974–1994 (Stanford University Press).
Sostenere che il paesaggio sia un mostro allora non è un paradosso, né una provocazione. È piuttosto un auspicio. […]

(tratto da: https://www.machina-deriveapprodi.com/post/il-paesaggio-è-un-mostro)

LUCA MOLINARI

La meraviglia è di tutti (Corpi, città, architettura) è un libro ottimista. Il sinonimo di ottimismo in architettura è progetto. Progetto, ovvero dal latino “getto avanti”, prevedo. […]
Da dove ripartire allora? Molinari chiama questo punto di ripartenza la “meraviglia”.
Il termine è chiaramente una metafora; in esso confluiscono il recupero dello stupore di fronte a ciò che si distacca dal mondo inflazionato e corrivo, ma anche meraviglia come recupero di una sensorialità che troppe immagini, troppi intellettualismi e sperticate interpretazioni, ci hanno fatto perdere. A riguardo l’autore parla di “imprevedibilità controllate”, ovvero di progetti che sono imprevedibili in quanto attivano in noi sensazioni e riflessioni tali da farci vedere in maniera diversa ciò che stiamo vedendo e vivendo.
In fenomenologia ciò accade attraverso un’azione preventiva, l’epoché, ovvero la sospensione delle aspettative, o meglio la disattivazione di quel processo analogico che, inconsciamente, preclude il vedere il nuovo o l’inaspettato che dir si voglia. Il progetto dunque come dispositivo per un coinvolgimento, possibilmente pubblico, che ci aiuti a rinsaldare quelle relazionalità che il digitale, il Covid, l’eclissarsi dello spazio pubblico, tendono a negarci.
La meraviglia per Molinari non riguarda, […] di sentirsi trasportati in un’atmosfera in cui restauriamo noi stessi e lo facciamo con gli altri, supportati dall’architettura e dallo spazio che ci circonda.
In altre parole la meraviglia è l’arte di re-incantare il mondo. Aveva scritto Novalis che la meraviglia è prendere il noto per portarlo sulla soglia dello ignoto, prendere il corrivo e farlo affacciare sullo straordinario, prendere il dimenticabile e renderlo indimenticabile.
Molinari tra le righe del libro descrive questa architettura della meraviglia: essa sarà capace di produrre opere “resistenti e imperfette”, che più che risposte riusciranno a porre domande. Sarà un’architettura accessibile e collettiva, ma non spudorata e invasiva; il suo carattere principale sarà allora un’assertiva fragilità, un proporsi senza invadenza ma un rimanere nel nostro animo per ciò che essa stimola, per ciò che essa attiva.
Meno formalismi dunque, ma forme asservite al loro dovere di stimolare il vivere sociale, anzi la meraviglia di un vivere sociale che l’architettura ipotizzata da Molinari, avrà il dovere di stimolare e proteggere.
Esiste oggi questa architettura? Per Molinari esistono esempi di uno sforzo di re-incantare il mondo, delle testimonianze di resistenze attive che la globalizzazione sparge continuamente in giro, spesso in posti inaspettati. Su queste pietre di inciampo fatte architettura dobbiamo affidarci per ipotizzare ancora una volta il futuro.

(tratto da: https://www.nazioneindiana.com/2023/03/16/la-meraviglia-e-di-tutti/)




 

DOCUMENTI